Sindrome dell’intestino irritabile: è solo una questione di testa?
25/08/2023

La sindrome del colon irritabile (IBS), ormai più frequentemente chiamata sindrome dell’intestino irritabile (SII), è una patologia estremamente comune, multifattoriale e che colpisce soprattutto le donne con meno di 50 anni, con una fortissima componente psico-sociale. Di fatto, si tratta di un disturbo dell’asse cervello-intestino con manifestazioni variabili da soggetto a soggetto ma che, tipicamente, è caratterizzato da dolori addominali, stipsi e/o diarrea, crampi, gonfiore e meteorismo.
La patologia è normalmente diagnosticata dal gastroenterologo, ma è molto frequente il riscontro in ambulatorio di pazienti che la riferiscono come autodiagnosi.
Stress psichici possono esacerbare moltissimo i sintomi della patologia, che tende ad avere un andamento cronico con momenti in cui il paziente riferisce che la situazione è peggiorata.
Spesso la patologia si associa ad ansia e depressione o ad altre condizioni in cui la componente psicologica è importante, come la fibromialgia.
Tuttavia, anche un’alimentazione sbilanciata può contribuire a peggiorare il quadro o a innescare periodi in cui la sintomatologia è più marcata. In particolare, cibi irritanti per le mucose o scarsamente digeribili favoriscono l’insorgenza di dolori ed eventualmente diarrea.
Il nutrizionista, per supportare il paziente nella gestione di questa problematica, può suggerire un’integrazione con probiotici, fibre prebiotiche e prodotti postbiotici specifici, mentre in alcuni casi particolari lo indirizzerà verso un regime a basso tenore di FODMAP, degli zuccheri che tendono a fermentare a livello intestinale e a riacutizzare la SII.
In ogni caso, il fai da te non è un’opzione raccomandabile, specie quando si intende assumere integratori.
Nelle situazioni più gravi il gastroenterologo può prescrivere anche dei farmaci per affrontare il problema, ma perché non cominciare dal rimettere in ordine la propria alimentazione? I nostri percorsi prevedono anche la presa in carico di pazienti con malattie infiammatorie intestinali.
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